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LE RÉCIT DE FAMIGLIA CRISTIANA
 

PAPA: IL VIAGGIO IN TURCHIA, SUCCESSO OLTRE LE PREVISIONI
di Alberto Bobbio
foto di Alessia Giuliani/Catholic Press
Le site de l'hebdomadaire catholique Famiglia Cristiana
IL CUORE A ISTANBUL

Non solo il caso Ratisbona è stato superato: Benedetto XVI ha pregato fianco a fianco con il Gran Muftì. E così ha rilanciato un dialogo fatto di parole e di gesti. Di pace.

Li ha conquistati con le parole, ma soprattutto con i gesti e con una immagine di sé tranquilla e sobria. Benedetto XVI ha scelto la via dell’antiretorica per scuotere menti e coscienze. E ha sbalordito la Turchia e il mondo intero. Così, l’intellettuale teologo è diventato maestro, ha offerto dati oggettivi, criteri di lettura, ha sollecitato cambiamenti di vita. Sembrava un azzardo questo viaggio nel Paese della fierezza laica di Ataturk e delle inquietudini islamistiche di chi tende a costruire un’identità contro un’altra. Una parte della Turchia lo detestava, un’altra, la maggioranza, lo criticava.

Nella saletta del cerimoniale di Stato di questo aeroporto sul Bosforo, conversa amabilmente con il governatore di Istanbul. Ha seppellito divisioni e odio e ha dato una bella lezione a chi invoca, da una parte e dell’altra, lo scontro di civiltà come soluzione finale ai problemi del pianeta. Quando sale sul Boeing 737 sa di aver gettato su questo corridoio stretto di mare tra Europa e Asia, tra cristianità e islam, un ponte che è una massa storica sconvolgente di parole, di gesti, di immagini che resteranno nella storia. Lo ha detto e lo ha scritto.


 



 

Nel Libro d’oro del Museo di Santa Sofia, con il pennino disarmato di una stilografica che travolge un passato di rancori ha appuntato una frase che inchioda l’umanità a un promemoria di responsabilità: «Nella nostra diversità ci troviamo davanti alla fede del Dio unico, che Dio ci illumini e ci faccia trovare la strada dell’amore e della pace».

Quella preghiera a piedi scalzi

Paolo VI, quando venne in Turchia nel 1967, prima volta di un Papa a varcare la Sublime Porta, restituì ai turchi, in segno di amicizia, lo stendardo della flotta del sultano in rotta a Lepanto. Fu un gesto clamoroso, perché era custodito come una reliquia in Vaticano.

Benedetto XVI suggella l’amicizia con una preghiera silenziosa, a piedi scalzi, nel più imponente tempio islamico di Istanbul, la Moschea Blu, scintillante di maioliche turchesi, di luci e di potenza evocativa, rivolto verso la Mecca. Joseph Ratzinger ha varcato la Sublime Porta e ha compiuto il gesto che spiega e ordina le sue parole.


 



 

Dice il cardinale Etchegaray, l’uomo delle "missioni impossibili" che Wojtyla aveva mandato in Irak e in Cina, e che Benedetto XVI in estate aveva spedito ancora una volta in Libano: «È un gesto che ha la stessa forza di quello di Giovanni Paolo II al Muro del Pianto a Gerusalemme, quando infilò un biglietto con la preghiera in una fessura. E in nessuno dei casi ce lo aspettavamo».

Tutta la Turchia davanti alle Tv

Benedetto XVI era appena uscito dal Museo di Santa Sofia. Le telecamere avevano indugiato sulla mano del Papa che scriveva quella frase sul Libro d’oro. L’ha letta tutta la Turchia incollata davanti alle Tv. C’erano cinque canali che trasmettevano in diretta. E l’hanno vista e tradotta centinaia di giornalisti di tutto il mondo.


 



 

Tra Santa Sofia e la Moschea Blu ci saranno cento metri. Il Papa li percorre sull’auto blindata, perché la paura è tanta da parte della sicurezza turca. Ma le manifestazioni di protesta annunciate sono già clamorosamente fallite: una decina di irriducibili censori del Papa per via della lectio di Ratisbona, 200 poliziotti e 500 giornalisti. Così questi pochi metri entrano nella storia.

Benedetto XVI si toglie le scarpe nel cortile rettangolare accanto al Gran Muftì di Istanbul, Mustafà Cagrici. Entra, ammira la nuda magnificenza islamica. Ventimila piastrelle di madreperla che sfumano verso l’azzurro. Cala la sera sul Bosforo, mentre un Papa va a pregare il Dio unico di Abramo, Isacco e Giacobbe, mentre un Papa spiega al mondo, in silenzio, solo l’immagine stretta della telecamera che mostra le labbra muoversi piano e gli occhi chiusi, le mani intrecciate, che è la preghiera quella che vale, perché seppellisce divisione e visioni che ognuno vorrebbe imporre all’altro. Accade in un baleno.

Il Gran Muftì accompagna il Papa al Mihrab, l’edicola che in ogni moschea del mondo è rivolta verso la Mecca: «Noi qui ci fermiano a pregare per alcuni secondi, per prendere serenità. Se desidera ci possiamo raccogliere».



 



 

Il Papa si ferma e chiude gli occhi, mentre l’uomo del clero islamico accanto a lui recita sottovoce la preghiera che i musulmani usano fare in questo punto della moschea. Ma al Papa non bastano pochi secondi. Il Muftì si volta indietro. Che fare? Scuoterlo?

Lo guarda stupito. Sembra ben poca cosa la preghiera, invece è potente, e quest’immagine è più eloquente di qualsiasi frase. Non pregano insieme, ma a fianco, una preghiera che diventa dialogo. Serve per dire che ognuno mantiene la propria identità, ma la passione per Dio e per le sorti dell’umanità è preoccupazione comune, perché Dio non ha mai deluso l’uomo.

Benedetto XVI ne spiegherà il senso il giorno dopo, prima di decollare per Roma, nel colloquio con il governatore di Istanbul: «Penso che per il pastore supremo della Chiesa cattolica il dialogo è un dovere. Rendo grazie al Signore di aver potuto dare un segno per questo dialogo e per una maggiore comprensione tra le religioni e le culture, in particolare con l’Islam».


 



 

La direzione della Provvidenza

Al Muftì il Papa ha regalato un mosaico che raffigura colombe. Al Papa il Muftì ha donato una calligrafia, cioè una frase in forma di disegno, che raffigura anche quella una colomba, ma che significa in arabo "Allah è il nome di Dio". Poi ci sono le parole rubate dai microfoni nella Moschea Blu: «Santità, si ricordi di noi». E c’è il Papa che alla fine dice al Gran Muftì, sulla soglia: «Vede, la Provvidenza ha pensato che dobbiamo andare in questa direzione».

I giornali turchi raccontano che il Papa è simpatico. Uno addirittura scrive che «è arrivato Papa e se ne è andato come papà». Benedetto XVI conferma che ha lasciato una parte del suo cuore in Turchia. Il "dossier Ratisbona" – le preoccupazioni di alcuni, le forzature di molti – è definitivamente chiuso. Ma forse c’è qualcosa di più.



 



 

Osserva il direttore della Sala Stampa della Santa Sede, padre Federico Lombardi: «Credo che siamo andati anche molto più in là. Anzi, si può dire che il discorso di Ratisbona ha dato un frutto positivo, ha obbligato a rilanciare il dialogo tra cristiani e musulmani con serietà, arrivando a chiarimenti importanti da una parte e dall’altra».

Alberto Bobbio


La Croix commente l'AG du 6 décembre | Le Pape et les medias